QUANDO C’ERA LUI
QUANDO C’ERA LUI I
TRENI ARRIVAVANO IN ORARIO
Non è mai stato vero. Si tratta infatti di un mito
derivante dalla propaganda durante il Ventennio.
La puntualità dei treni era infatti per la propaganda
fascista il simbolo del ritorno all'ordine nel paese ma, in realtà, è solo
grazie alla censura sistematica delle notizie riguardanti incidenti e
disservizi ferroviari che questa immagine si è potuta formare.
IL DUCE È STATO L’UNICO
UOMO AL GOVERNO AD AVERE DAVVERO AMATO QUESTA NAZIONE
Mussolini il 26 Maggio 1940 disse: «Mi serve qualche
migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative.» e così fu! Nella
disastrosa “campagna di Russia”, solo per compiacere Adolf Hitler con una
presenza italiana del tutto male equipaggiata e fornita nelle sue operazioni di
guerra, persero la vita ufficialmente 114.520 militari sui 230.000 inviati al
fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano
morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti UNIRR stimano
in circa 60’000 gli italiani morti durante la prigionia in Russia.
Già...proprio amore.
Mussolini amava talmente l’Italia che:
- ha instaurato una dittatura
- ha abbassato i salari
- ha portato il paese al collasso economico
- ha tolto la libertà ai cittadini italiani
- ha trascinato il paese in 20 anni di guerre coloniali
Il Duce amava talmente l’Italia da aver introdotto leggi
razziali antisemite nel 1938 solo per compiacere l’alleato nazista, inutili
perché in Italia gli ebrei, a differenza che in Germania, non avevano
un’importanza rilevante in un sistema economico di cui la dittatura volesse provvedere all'esproprio.
Voleva così bene al suo popolo da farlo sprofondare in
una guerra civile quando fu esautorato dal potere creando la Repubblica Sociale
Italiana. Un paese già allo sbando a causa dell'armistizio dell'8 settembre e
provato dalla guerra (condotta da lui con esiti a dir poco disastrosi) venne
dilaniato ancora di più tra cosiddetta" Repubblica di Salò" e Italia
liberata.
E i fascisti, soprattutto durante il periodo della
Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) collaborarono attivamente ai massacri
di rappresaglia a seguito delle operazioni partigiane e alla deportazione nei
lager di cittadini italiani.
E l’Italia, unico nei paesi “satellite” della Germania
nazista, il fascismo fu istitutore e gestore di “lager” in Italia con l’impiego
prevalente di proprio personale: la bibliografia ufficiale stima in 259 i campi
di prigionia in Italia e gestiti con presenza prevalente di personale italiano,
alcuni normali campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della
deportazione in Germania come quello di Bolzano e Fossoli, in provincia di
Modena; ma alcuni erano autentici campi di sterminio come la Risiera di San
Sabba a Trieste, dove il tenore dei massacri era inferiore solo ai campi in
Germania e Polonia, molto più grandi e appositamente attrezzati.
E ci sarebbe tanto altro da aggiungere, ampiamente
documentato: corruzione dilagante, dossier, lettere, minacce, accuse vere e
false oscenità, inganni, arresti, ed anche ricatti. Un ventennio di ricatti!
Gerarca contro Gerarca, amante contro amante, e l’accusa di omosessualità come
arma politica. E Mussolini su tutto e su tutti fa spiare, controlla, punisce,
muove le sue pedine.
IL DUCE HA CREATO
LE PENSIONI
Quella di Mussolini che ha creato da zero il sistema
pensionistico di cui godremmo tutt'ora è senza dubbio la bufala più persistente
e di successo, al punto tale che un certo Matteo Salvini ha dichiarato: "Per
i pensionati ha fatto sicuramente di più Mussolini che la Fornero. [...] La
previdenza sociale l'ha portata Mussolini."
In realtà, non è proprio così. Come si può agevolmente
verificare sul sito dell'INPS, la previdenza sociale nasce nel 1898 con la creazione
della Cassa Nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli
operai. Si trattava di un'"assicurazione volontaria integrata da un
contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch'esso libero
degli imprenditori."
Nel 1919 l'iscrizione alla Cassa diventa obbligatoria e
interessa 12 milioni di lavoratori. Vent'anni dopo, il regime promuove varie
misure previdenziali, tra cui le assicurazioni contro la disoccupazione, gli
assegni familiari e la pensione di reversibilità. La pensione sociale,
tuttavia, è istituita solo nel 1969—ossia a 24 anni dalla morte di Mussolini.
MUSSOLINI NON
AUMENTÒ LE TASSE
Solo per i primi anni del regime è vero che le tasse non
furono aumentate, un po’ alla volta nuove tasse colpirono gli italiani e la
lira che aveva rafforzato nei primi anni venne svalutata più volte per poter
tirare avanti. In parole povere davanti alle difficoltà il governo prese di
volta in volta decisioni diverse e logicamente variavano anche di molto in base
al momento storico.
AI TEMPI DEL DUCE
ERAVAMO PIÙ RICCHI
Mussolini permise agli industriali e agli agrari di
aumentare in modo consistente i loro profitti, a scapito degli operai. Infatti
fece approvare il loro contenimento dei salari.
Nel 1938, dopo 15 anni di suo operato, la situazione
economica dell’italiano medio era pessima, il suo reddito era circa un terzo di
quello di un omologo francese.
IL DUCE CI HA REGALATO LA TREDICESIMA
Un'altra leggenda che circola molto (soprattutto sotto
Natale) è la seguente: se abbiamo un mese di stipendio in più è merito
esclusivo della magnanimità di Mussolini. Anche in questo caso, tuttavia, la
storia è diversa.
Nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del 1937 venne
effettivamente introdotta una "gratifica natalizia." La mensilità in
più era tuttavia destinata ai soli impiegati del settore dell'industria; e non
ad esempio agli operai dello stesso settore, che anzi si videro aumentare le
ore di lavoro giornaliero fino a 10, e 12 con gli straordinari non rifiutabili.
Si trattava di una misura "in piena linea con quelle che erano le
normali politiche dell'epoca fascista, in una società [...] bloccata sul
corporativismo basato non sul diritto per tutti, ma sul privilegio di pochi
gruppi e settori."
La vera tredicesima è stata
istituita prima con l'accordo interconfederale per l'industria del 27 ottobre
1946, e poi estesa a tutti i lavoratori con il decreto 1070/1960 del presidente
della Repubblica.
I FASCISTI NON
HANNO MAI RUBATO E NON C’ERA CORRUZZIONE
Si è sempre detto che il Fascismo è stata una
dittatura che ha strappato la libertà agli italiani ma che almeno i fascisti
non hanno mai rubato, non sono stati corrotti. Invece non è così. Mussolini non
fa in tempo a prendere il potere che la corruzione già dilaga. Un sistema
corrotto scoperto già da Giacomo Matteotti: denuncia traffici di tangenti per
l’apertura di nuovi casinò, speculazioni edilizie, di ferrovie, di armi. Affari
in cui è coinvolto il futuro Duce attraverso suo fratello Arnaldo.
E poi c’è l’affare Sinclair Oil: l’azienda americana pur
di ottenere il contratto di ricerche petrolifere in esclusiva sul suolo
italiano paga tangenti a membri del governo, e ancora ad Arnaldo, per oltre 30
milioni di lire. Matteotti lo scopre ma il 10 giugno 1924 viene rapito da una
squadra fascista e ucciso. Messo a tacere il deputato socialista, di questa
corruzione dilagante gli italiani non devono e non possono assolutamente
sapere. Speculazioni, truffe, arricchimenti improvvisi, carriere strepitose e
inspiegabili: gerarchi, generali, la figlia Edda e il genero Galeazzo Ciano e
Mussolini stesso! Nessuno rimane immune. I documenti scoperti e mostrati da
storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo
Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello
Stato sono prove che inchiodano il fascismo alla verità.
È stato anche realizzato un documentario
RAI che lo testimonia bene.
LA CASSA
INTEGRAZIONE È STATA PENSATA E CREATA DAL DUCE
La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore
sociale per sostenere i lavoratori delle aziende in difficoltà economica. Nasce
nell'immediato dopoguerra per sostenere i lavoratori dipendenti da aziende che
durante la guerra furono colpite dalla crisi e non erano in grado di riprendere
normalmente l’attività. Quindi la cassa integrazione nasce per rimediare ai
danni causati dal fascismo e della guerra che hanno causato milioni di
disoccupati.
Nel 1939, tramite circolari interne, veniva prevista la
possibilità, prevista senza un reale quadro normativo per poterla applicare,
visto che allora era totalmente inutile.
L’Italia, già coinvolta nelle guerre nelle colonie
(Libia, Abissinia) si stava preparando all’entrata in guerra al fianco della Germania
e l’industria (soprattutto quella bellica) era in gran fermento, motivo per cui
non solo si lavorava a turni pesantissimi ma si assistette addirittura al primo
esodo indotto di lavoratori dall’agricoltura all’industria.
La Cassa Integrazione Guadagni, nella sua struttura è
stata costituita solo il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, misura
finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la
guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente
l’attività.
GRAZIE AL DUCE NON
ESISTEVA DISOCCUPAZIONE
Non vi era un reale stato di benessere dell’economia
ma in realtà l’Italia stava preparando
l’entrata in guerra e tutte le industrie (e l’artigianato) che direttamente o
indirettamente fornivano l’esercito lavoravano a pieno regime. Senza contare le
masse arruolate nell'esercito per poi essere usate come carne da macello per i
sogni di gloria del duce.
Per contro, l’accesso al lavoro era precluso a tutti
coloro che non sottoscrivevano la tessera del Partito Nazionale Fascista,
sanzione che era estesa anche ai datori di lavoro che eventualmente li
impiegassero. Motivo per cui durante il fascismo assistemmo ai flussi migratori
di tutti coloro che per motivi politici non intesero allinearsi al regime ma
avevano una famiglia da mantenere.
Il 27 maggio 1933 l'iscrizione al partito fascista è
dichiarata requisito fondamentale per il concorso a pubblici uffici; il 9 marzo
1937 diventa obbligatoria se si vuole accedere a un qualunque incarico pubblico
e dal 3 giugno 1938 non si può lavorare se non si ha la tanto conclamata
tessera.
IL DUCE HA
COSTRUITO GRANDI STRADE
Il programma infrastrutturale che prevedeva la
costruzione delle strade completate durante il ventennio cominciò già durante
il quinto governo di Giovanni Giolitti, avendo constatato l’impossibilità di
uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture. Infatti, la necessità
di realizzare infrastrutture in Italia fu un’idea di Giovanni Giolitti durante
il suo quinto governo (15 giugno 1920/7 aprile 1921), avendo constatato
l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture,
sviluppo industriale dimostratosi necessario dal confronto con le altre grandi
potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale.
Tale “rivoluzione” non poté essere attuata da Giovanni
Giolitti, prima, e dal governo Bonomi che ne seguì solo per i sette mesi che
resse a causa del boicottaggio e dell’ostruzionismo politico da parte del
nascente fascismo, prima generico movimento popolare (1919) e poi soggetto in
forma di partito dal 1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista.
MUSSOLINI IMPOSE
AI MEMBRI DEL GOVERNO L’USO DELLE BICICLETTE FACENDO RISPARMIARE MILIARDI AL
POPOLO ITALIANO
Non esiste nessuna conferma sulla fiaba delle biciclette.
Anzi ad un certo punto per spingere l’industria dell’automobile si mise una
tassa sulla bici e, almeno in alcune grandi città, si cominciò a limitarne
l’uso. Sull'effettivo risparmio di questa manovra come prima pesa il non detto:
a chi rimosse l’auto? Quante erano le auto? Furono risparmiati miliardi di
lire? Se parliamo di miliardi di lire (ne considero almeno due per essere
plurale) del 1925 parliamo di circa 1.5 Miliardi di euro oggi con la
rivalutazione monetaria. Al 2012 la spesa per autoblu e autogrigie in Italia è
stato di circa 1 Miliardo di euro, quindi dobbiamo dedurre che negli anni ’20
in Italia c’erano più auto pubbliche che adesso? Vi sembra possibile? E
cercando tra i documenti del parlamento di quegli anni sono stati trovati
stanziamenti per le automobili al servizio del governo.
MUSSOLINI RINUNCIÒ
AL SUO STIPENDIO PER RISANARE L’ECONOMIA E FINANZIARE LA GUERRA
Già fa ridere detta così ma pensandoci un attimo che
Mussolini abbia o meno rinunciato al suo stipendio è irrilevante essendo stato
un dittatore: dubito che le sue spese personali fossero state proporzionate al
suo stipendio e il “dover finanziare una guerra” fu proprio quello che portò a
sciupare quello che aveva fatto (per Mussolini era inconcepibile che non si
facessero guerre, erano nella natura dell’uomo).
SOLO CON
IL FASCISMO L'ITALIA HA RAGGIUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO
Partiamo malissimo perché il pareggio è successo nel
1925 ed in altra data. Il mito calca la mano sul concetto fondamentale che il
governo fascista fu in grado di pareggiare il bilancio dello stato mentre i
governi attuali siano degli inetti. Che ci sia riuscito non c’è dubbio, ma era
già successo prima che Mussolini salisse al governo (fu Minghetti a
realizzarlo) nel 1876. Quindi dovremmo replicare anche le politiche economiche
di 2 secoli fa?
All’inizio del ventennio l’Italia arrivava da un
periodo di indebitamento causato dalla Guerra Mondiale e furono adottati dei
provvedimenti corretti come le liberalizzazioni, riduzione delle spese e
l’espansione industriale aiutò moltissimo, ma è possibile secondo voi
paragonare l’economia di inizio ‘900 con quella attuale?
Come ogni disinformazione che si rispetti è più importante
quello che si sta dimenticando di dire, e cioè che negli anni successivi però
andò tutto in vacca: la crisi mondiale in parte e il disinteresse dell’economia
del Duce, molto più interessato a fare guerre colonialiste, portarono il
bilancio in negativo vanificando tutti gli sforzi fatti. La politica di
autarchia messa in atto limitò moltissimo le importazioni e le esportazioni,
politica totalmente inapplicabile oggi. Oltre ad aver causato la distruzione
della nazione nella Seconda Guerra Mondiale. Citando Totò: “L’operazione è riuscita,
ma il paziente è morto”
Ha poi senso paragonare le scelte fatte quasi 100 anni
fa a quelle attuali? Non è corretto né economicamente né storicamente. Un
modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello.
IL DUCE HA
RICOSTRUITO I PAESI TERREMOTATI IN UN BATTER D'OCCHIO
Anche la storia della prodigiosa ricostruzione del Duce
dopo il terremoto del Vulture (in Lucania) del 23 luglio 1930 è piuttosto
ricorrente.
La fonte primaria, ripresa dai siti di estrema destra e
replicata in vari meme, è un articolo del Secolo d'Italia pubblicato dopo il
terremoto che l'anno scorso ha colpito il centro Italia. In esso si sostiene
che in appena tre mesi si costruirono 3.746 case e se ne ripararono 5.190, e si
infila pure il commento agiografico "altri tempi, ma soprattutto altre tempre...
Il dato è però parziale e decontestualizzato. Come si può
verificare dal sito dell'INGV, nell'ottobre del 1930 furono ultimate
"casette asismiche in muratura corrispondenti a 1705 alloggi" e
"riparate dal genio Civile 2340 case." Solo nel settembre del 1931—a
operazioni ultimate—si raggiunge la cifra indicata nell'articolo, che
corrisponde a 3.746 alloggi in 961 casette. Insomma: i numeri sono comunque
rilevanti per l'epoca, ma non è semplicemente vero che in appena tre mesi fu
ricostruito tutto da zero.
IL FASCISMO HA
RESO L'ITALIA UN FARO PER LE SCOPERTE SCIENTIFICHE
Nei primi anni del regime però "aveva sostanzialmente ignorato tutte le
questioni connesso con l'organizzazione della struttura di ricerca
scientifica," che rimaneva quella dell'Italia liberale ed era carica di
problemi. Nel 1923 venne avviato il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche),
la prima struttura deputata a svolgere ricerca "su temi di interesse
generale." La sua attività fu subito caratterizzata dalla penuria dei
finanziamenti, segno della "scarsa fiducia nel nuovo ente che ancora
nutriva Mussolini."
Col passare degli anni, nonostante i proclami e la
propaganda, il CNR non divenne mai incisivo e non produsse nulla di
significativo, soprattutto perché la sua unica indicazione di ricerca era
quella per l'autarchia—un'indicazione troppo generica. Lo scoppio della seconda
guerra mondiale, poi, "allontanò in modo generalizzato i più giovani tra
ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro
scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi."
Nel 1938, a riprova di quanto al fascismo non fregasse
nulla della scienza, l'ambiente scientifico italiano era stato travolto dal più
infame e antiscientifico degli atti politici del regime: la promulgazione delle
leggi razziali. Il che mi porta all'ultima leggenda che ho scelto per compilare
questa lista.
IL DUCE NON ERA
RAZZISTA, E NEMMENO IL FASCISMO ERA UN REGIME RAZZISTA
Con ogni probabilità questa è la mistificazione più
odiosa, che fa leva sul radicato stereotipo del "bravo italiano" e
del "cattivo tedesco."
Se è vero che in un primo momento i rapporti tra gli
ebrei e il fascismo furono "normali," e lo stesso Mussolini—nel libro
Colloqui con Mussolini—disse che "l'antisemitismo non esiste in
Italia," le cose cambiarono progressivamente con la torsione totalitaria
del regime e sfociarono infine nelle persecuzioni.
La maggior parte della storiografia è ormai concorde sul
fatto che l'antisemitismo e le leggi razziali non furono introdotte per
imposizione della Germania—il Manifesto della razza, ad esempio, pare che sia
stato scritto dallo stesso Mussolini.
Piuttosto, come sostiene lo storico Enzo Collotti, la
"spinta a una politica della razza nel fascismo italiano" da un lato
era "iniziativa e prodotto autonomo" del regime—specialmente dopo il
1933 e l'affermazione del nazismo—e dall'altro era una scelta "connaturata
allo stesso retaggio nazionalista, che esaltava la superiorità della stirpe
come fatto biologico e non solo culturale."
Lo stesso discorso si può fare con la
"civilizzazione" delle colonie, che si pone in perfetta continuità
con quanto detto sopra. La guerra d'aggressione contro l'Etiopia nel 1935 è
stata "l'occasione per mettere a fuoco una politica razzista dell'Italia
fascista"; e dopo la conquista del paese—mai completata fino in
fondo—"fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un
vero e proprio prototipo di apartheid."
Dire che il fascismo non era un regime razzista è negare
una delle sue caratteristiche fondamentali. Se si porta all'estremo questo
ragionamento, si finisce col dire che il fascismo non era fascista.
CENSURA DEL
REGIME:
La censura fascista in Italia tra il 1922 e il 1943 consisté
in un'attività di censura e di controllo sistematico della comunicazione e, in
particolare, della libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa e
nella repressione della libertà di associazione, di assemblea, di religione
avutasi durante tutto il ventennio.
L'intervento repressivo e autoritario, sporadico nel
1923, aumenta nel 1924 e conosce una svolta a partire dal 1925, quando inizia a
prendere forma lo stato dittatoriale che reprimerà ogni forma di libertà
d'espressione. Durante il ventennio fascista la polizia politica esercita uno
stretto controllo sulle vite dei cittadini.
La censura si proponeva il controllo:
dell'immagine pubblica del regime, ottenuto anche con la
cancellazione immediata di qualsiasi contenuto diffuso tramite stampa, radio,
cinema, teatro, che potesse suscitare opposizione, sospetto, o dubbi sul
fascismo; dell'opinione pubblica come strumento di misurazione del consenso;
dei singoli cittadini ritenuti sospetti dal governo con la creazione di archivi
nazionali e locali (schedatura) nei quali ognuno veniva catalogato e
classificato a seconda delle idee, delle abitudini, delle relazioni d'amicizia,
dei comportamenti sessuali e delle eventuali situazioni e atti percepiti come
riprovevoli.
La censura fascista aggiunse ai temi che già in epoca
liberale venivano tenuti sotto sorveglianza, come la morale, la magistratura,
la casa reale e le forze armate, una quantità di argomenti che variavano a
seconda dell'evolversi dell'ideologia fascista e dei suoi atti politici. In particolare
veniva censurato ogni contenuto ideologico diverso dal fascismo o considerato
disfattista dell'immagine nazionale, ed ogni altro tema culturale considerato
disturbante per il modello stabilito dal regime.
Dapprima fu eliminata ogni considerazione ritenuta lesiva
del regime (a proposito del Duce, della guerra, della patria e del sentimento
nazionale) e, in seguito, ogni accenno ritenuto negativo nei confronti della
maternità, della battaglia demografica, dell'autarchia ecc. In modo particolare
la censura del regime era attenta ed occhiuta quando nelle produzioni e visione
degli spettacoli si rintracciava una qualche considerazione celebrante
l'individualismo che mettesse in discussione la supremazia dello Stato,
principio supremo dell'ideologia fascista.
Anche le comunicazioni private e la corrispondenza dei
normali cittadini veniva censurata. Non tutta la corrispondenza veniva
ispezionata, ma non tutta quella che veniva letta dai censori riportava il
regolare bollo che registrava l'avvenuto controllo. Gran parte della censura,
molto probabilmente, non veniva dichiarata, in modo da poter segretamente
consentire ulteriori investigazioni di polizia. Abbastanza ovviamente,
qualsiasi telefonata era a rischio di essere intercettata e, talvolta,
interrotta dai censori del famigerato «ufficio cuffia».
Anche il solo discorrere in pubblico era in effetti molto
rischioso, in quanto una speciale sezione di investigatori si occupava di
quello che la gente diceva per strada, al bar, o in qualsiasi luogo di ritrovo,
un'eventuale accusa da parte di un poliziotto in incognito era molto difficile
da confutare e molte persone riportarono di essere state falsamente accusate di
sentimenti anti-nazionali, solo per l'interesse personale della spia. Di
conseguenza, dopo i primi casi, la gente solitamente evitava di fare discorsi
riguardanti: lo stato, il Duce, la politica in generale, sia all'aperto che in posti
e locali frequentati.
IL DUCE E L’ISLAM
Pur tra luci ed ombre, Mussolini ha stretto intensi
rapporti con il mondo di Maometto. Un grande «feeling» che venne propiziato
dall'affettuosa amicizia che il futuro duce intrattenne, quando era ancora
direttore dell'Avanti!, con la giornalista Leda Rafanelli di fede musulmana. E
che, poi, culminò con il matrimonio di Tripoli del 20 marzo 1937, testimone di
nozze Italo Balbo, quando un impettito Mussolini, in sella a un magnifico
puledro, sguainò la famosa spada dell'Islam ricevuta in dono dai berberi.
Quell'immagine è diventata il simbolo di un lungo
corteggiamento nato nel 1919, prima ancora della Marcia su Roma, con la pace di
Versailles alla fine della Prima guerra mondiale. Quella conferenza più che un
trattato si rivelò, infatti, un vero e proprio «diktat» non solo per la
Germania sconfitta, ma anche per l'Italia che, pure, quella guerra l'aveva
vinta. A ispirare lo spirito di rivalsa nei confronti dell'asse franco-inglese
era stato Gabriele D'Annunzio, il Vate della «vittoria mutilata» e il
protagonista dell'impresa di Fiume, che mise il Belpaese sullo stesso piano del
mondo arabo da sempre in conflitto con le potenze coloniali.
Pur con le dovute differenze, il nazionalismo che
cominciava a serpeggiare in una parte dell'Europa era della stessa matrice di
quello che già si respirava sulla «quarta sponda». Revanscisti gli uni, revanscisti
gli altri, divenne quasi naturale cercare punti d'incontro. Se la conquista
dell'Etiopia venne presentata - i due amici-nemici Mussolini e D'Annunzio in
primis - come la guerra santa contro il Negus Hailé Selassié, nemico dichiarato
dei musulmani, il «bel suol d'amore», Tripoli, diventò il terreno fertile per
rinsaldare quell'intesa cordiale che oggi sembra davvero una grandissima
utopia. Nel 1939, infatti, il governatore Balbo, nonostante i dissapori con il
duce, fece ottenere la cittadinanza speciale italiana a tutti i libici islamici
della costa, a differenza dei beduini e degli ebrei che restavano cittadini di
serie B.
Ci furono, in quegli anni, tanti punti d'incontro: se già
nel 1934 Radio Bari cominciò a trasmettere programmi in lingua araba perché la
comunicazione era un pallino del duce, i rapporti commerciali con i Paesi
dell'Islam divennero intensi tanto che lo Yemen dell'imam Yahyà si trasformò,
di fatto, in un protettorato italiano. Parallelamente, dalle parti della
Mezzaluna, si diffusero movimenti giovanili che guardavano al fascismo con
particolare interesse, dalle Falangi Libanesi al Partito Giovane Egitto, dalle
Camicie Verdi a quelle Azzurre. Anche allora, comunque, non tutti si trovarono
d'accordo sull'innamoramento per gli «infedeli»: a parte il malumore di qualche
alto prelato, è il caso di Leo Longanesi, romagnolo come Mussolini e amico
della prima ora, che, all'indomani dell'«incoronazione» del duce con la spada
dell'Islam, sentenziò: «Sbagliando s'impera». Eppure, piccola curiosità, il
fatto che Benito fosse amico del mondo musulmano starebbe nel cognome stesso:
secondo un'ipotesi , non del tutto infondata, Mussolini deriverebbe da
muslimin, plurale di muslin che, in arabo, significa musulmano. Strani gli
scherzi del destino...
SQUADRISMO E
VIOLENZA POLITICA
Fra le attività "qualificanti" del fascismo del
primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari
politici, le loro sedi e le loro organizzazioni, da parte di bravacci legati ai
ras locali. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate. Non di rado,
tuttavia, gli oppositori perdevano la vita a seguito delle violenze.
Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500
i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922. Il
parroco di Argenta, don Giovanni Minzoni, fu assassinato in un agguato da due
uomini di Italo Balbo, nell'agosto del 1923. Ma anche quando il fenomeno della
violenza squadrista sembrò perdere le proprie caratteristiche originarie, e gli
uomini legati ai ras locali vennero convogliati in organizzazioni ufficiali
come la Milizia volontaria, forme di violenza politica sostanzialmente analoghe
allo squadrismo non cessarono di costellare la vicenda del fascismo al potere.
Per tutti, tre casi notissimi: nel giugno 1924 Giacomo
Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista, e il gesto sarebbe
stato esplicitamente rivendicato da Mussolini nel gennaio dell'anno successivo;
Piero Gobetti, minato dall'aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni
dopo, in esilio; Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un'aggressione
fascista subita nel luglio 1925.
LA REPRESSIONE –
DAGLI OMICIDI AL TRIBUNALE SPECIALE PER LA DIFESA DELLO STATO
Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell'apparato
di repressione dello Stato. Che venne rafforzato e riorganizzato. Con la nascita
dell'OVRA (l'Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione
dell'Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con
tutti i mezzi, legali e illegali. Anche l'omicidio politico in paese straniero.
Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal
ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli
che allora risiedeva a Parigi.
Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l'Orne dove Carlo
Rosselli e il fratello Nello si erano recati per trascorrere il fine settimana,
un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione:
bloccata l'auto sulla quale viaggiavano i due fratelli, Carlo e Nello furono
prima pestati, poi, accoltellati a morte. Lo strumento ufficiale della
repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
L'attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l'occasione
di una serie di misure repressive.
Tra queste la "legge per la difesa dello
Stato", n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì, tra l'altro, la pena di
morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo
del governo. A giudicare i reati in essa previsti, la nuova normativa istituì
il Tribunale speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito
nel gennaio 1944, nella RSI. Nel corso della sua attività, emise 5619 sentenze
e 4596 condanne. Tra i condannati anche 122 donne e 697 minori. Le condanne a
morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni
di carcere. Tra i suoi 'beneficati', ci furono Antonio Gramsci, che morì in
carcere nel 1938, il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini e
Michele Schirru, fucilato nel 1931 solo per avere espresso "l'intenzione
di uccidere il capo del governo".
IL CONFINO
Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola,
fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre
1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso
per l'ordine statale o per l'ordine pubblico. A un mese dall'entrata in vigore
della legge le persone confinati erano già 600, a fine 1926, oltre 900, tutti
in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell'Italia meridionale. A
finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da
Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino
furono, complessivamente, oltre 15.000. Ben 177 antifascisti morirono durante
il soggiorno coatto.
DEPORTAZIONE
La politica anti ebraica del regime fascista culminò nelle
leggi razziali del 1938. Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo
l'armistizio dell'8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima
retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma; degli oltre 1250 ebrei
arrestati in quell'occasione, più di 1000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo
17 erano ancora vivi al termine del conflitto.
Il Manifesto programmatico di Verona (14 novembre 1943)
sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a "nazionalità nemica".
Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e
l'internamento, in attesa della deportazione in Germania.
Nelle spire della "soluzione finale" hitleriana
il regime fascista gettò, nel complesso, circa 10.000 ebrei. Oltre alla
deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c'è anche
la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati
che, dopo l'8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di
concentramento in Germania piuttosto che aderire alla RSI.
LE GUERRE
Fuori dai confini i morti contano meno? Allora non si
possono proprio considerare tali gli etiopi uccisi con il gas durante la guerra
per l'Impero, o i libici torturati e impiccati durante le repressioni degli
anni Venti e Trenta, o gli jugoslavi uccisi nei campi di concentramento
italiani in Croazia. Ma la spada di Mussolini provocò tanti morti anche tra i
suoi connazionali. Mussolini trascinò in guerra l'Italia il 10 giugno del 1940,
per partecipare al banchetto nazista. I risultati, per l'Italia, furono questi.
Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra,
oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.
Dopo l'armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti
in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana
all'estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania,
41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari
caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti,
13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della RSI. A questi vanno
aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l'intero periodo
bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze
anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.
La prossima
volta che vi imbattete in una immagine che inneggia alla saggezza del Duce e di
come potrebbe essere la salvezza dell’Italia fatevi una ricerca sulla storia
del fascismo.