lunedì 2 luglio 2018

GAYPRIDE


Sicuramente non sono uno dei pochi che pensa che i gay pride siano giusti nel concetto ma purtroppo piuttosto ridicoli nella pratica.
Non essendo omosessuale potrei non capire certi concetti, e non conosco molti omosessuali con cui eventualmente scambiare una opinione per come si celebrano i gay pride oggigiorno, potrebbe allora essere semplicemente un modo diverso di pensare ma chi lo sa!
Fatto sta che dal mio punto di vista somigliano sempre di più ad una pagliacciata organizzata dal circo itinerante di turno per farsi da spot per le serate dello spettacolo, mi ricordano anche vagamente la famosa scena di "Amarcord" dove le nuove puttane del bordello appena scese dal treno venivano portate in giro per il centro allo scopo di mostrarle ai clienti che in quel momento erano in giro con la famiglia.
Una cosa è certa i pride di oggi nulla hanno a che fare con i gay pride degli anni 1970. Basta cercare con Google le immagini, per accorgersi di quanto siano diversi nella sostanza. In quegli anni si andava veramente in piazza per protestare per i propri diritti negati e per il troppo bigottismo e pregiudizio della società... Ora si scende in piazza per ostentare, per sbattere in faccia a tutti la propria diversità nei gusti sessuali.
Però lamentarsi di una società bigotta e pregiudizievole andando in strada vestiti come le peggiori prostitute di Calcutta, con le chiappe di fuori, e i nerboruti pacchi in bella vista, mimando (e a volte non solo) espliciti e promiscui atti sessuali, secondo me non fa altro che ottenere l'effetto contrario. Provoca una certa repulsione a me che sono semplicemente eterosessuale e di certo rafforza l'idea di chi ha già un pregiudizio e considera costoro degli "anormali" o "stranosessuali".

domenica 20 maggio 2018

Pillole: Il volo del calabrone



Quasi tutti ricorderanno la famosa frase di Einstein:
"La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso."

Beh! Le notizie sono due:
1) La citazione non è di Einstein.
2) La citazione non venne così espressa.

La citazione è di un certo Antoine Magnan, entomologo e ingegnere aeronautico francese. Nel 1934 scrisse un saggio basato sui suoi studi di aerodinamica: "Le Vol des Insectes" dove diceva qualcosa di simile ma diverso da quella frase:
"Ho applicato agli insetti le leggi della resistenza dell'aria e sono arrivato alla conclusione che il loro volo è impossibile"

Purtroppo per il buon Antoine erano i suoi modelli sulla resistenza dell'aria ad essere sbagliati.
E visto che ogni giorno migliaia di insetti ci svolazzano attorno non si può fare altro che arrendersi all'evidenza.

sabato 16 dicembre 2017

Quando c'era lui... Un mito da sfatare!

QUANDO C’ERA LUI





QUANDO C’ERA LUI I TRENI ARRIVAVANO IN ORARIO
Non è mai stato vero. Si tratta infatti di un mito derivante dalla propaganda durante il Ventennio.
La puntualità dei treni era infatti per la propaganda fascista il simbolo del ritorno all'ordine nel paese ma, in realtà, è solo grazie alla censura sistematica delle notizie riguardanti incidenti e disservizi ferroviari che questa immagine si è potuta formare.

IL DUCE È STATO L’UNICO UOMO AL GOVERNO AD AVERE DAVVERO AMATO QUESTA NAZIONE 
Mussolini il 26 Maggio 1940 disse: «Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative.» e così fu! Nella disastrosa “campagna di Russia”, solo per compiacere Adolf Hitler con una presenza italiana del tutto male equipaggiata e fornita nelle sue operazioni di guerra, persero la vita ufficialmente 114.520 militari sui 230.000 inviati al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti UNIRR stimano in circa 60’000 gli italiani morti durante la prigionia in Russia.
Già...proprio amore.
Mussolini amava talmente l’Italia che:
- ha instaurato una dittatura
- ha abbassato i salari
- ha portato il paese al collasso economico
- ha tolto la libertà ai cittadini italiani
- ha trascinato il paese in 20 anni di guerre coloniali
Il Duce amava talmente l’Italia da aver introdotto leggi razziali antisemite nel 1938 solo per compiacere l’alleato nazista, inutili perché in Italia gli ebrei, a differenza che in Germania, non avevano un’importanza rilevante in un sistema economico di cui la dittatura volesse provvedere all'esproprio.
Voleva così bene al suo popolo da farlo sprofondare in una guerra civile quando fu esautorato dal potere creando la Repubblica Sociale Italiana. Un paese già allo sbando a causa dell'armistizio dell'8 settembre e provato dalla guerra (condotta da lui con esiti a dir poco disastrosi) venne dilaniato ancora di più tra cosiddetta" Repubblica di Salò" e Italia liberata.
E i fascisti, soprattutto durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) collaborarono attivamente ai massacri di rappresaglia a seguito delle operazioni partigiane e alla deportazione nei lager di cittadini italiani.
E l’Italia, unico nei paesi “satellite” della Germania nazista, il fascismo fu istitutore e gestore di “lager” in Italia con l’impiego prevalente di proprio personale: la bibliografia ufficiale stima in 259 i campi di prigionia in Italia e gestiti con presenza prevalente di personale italiano, alcuni normali campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della deportazione in Germania come quello di Bolzano e Fossoli, in provincia di Modena; ma alcuni erano autentici campi di sterminio come la Risiera di San Sabba a Trieste, dove il tenore dei massacri era inferiore solo ai campi in Germania e Polonia, molto più grandi e appositamente attrezzati.
E ci sarebbe tanto altro da aggiungere, ampiamente documentato: corruzione dilagante, dossier, lettere, minacce, accuse vere e false oscenità, inganni, arresti, ed anche ricatti. Un ventennio di ricatti! Gerarca contro Gerarca, amante contro amante, e l’accusa di omosessualità come arma politica. E Mussolini su tutto e su tutti fa spiare, controlla, punisce, muove le sue pedine.

IL DUCE HA CREATO LE PENSIONI
Quella di Mussolini che ha creato da zero il sistema pensionistico di cui godremmo tutt'ora è senza dubbio la bufala più persistente e di successo, al punto tale che un certo Matteo Salvini ha dichiarato: "Per i pensionati ha fatto sicuramente di più Mussolini che la Fornero. [...] La previdenza sociale l'ha portata Mussolini."
In realtà, non è proprio così. Come si può agevolmente verificare sul sito dell'INPS, la previdenza sociale nasce nel 1898 con la creazione della Cassa Nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava di un'"assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch'esso libero degli imprenditori."
Nel 1919 l'iscrizione alla Cassa diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. Vent'anni dopo, il regime promuove varie misure previdenziali, tra cui le assicurazioni contro la disoccupazione, gli assegni familiari e la pensione di reversibilità. La pensione sociale, tuttavia, è istituita solo nel 1969—ossia a 24 anni dalla morte di Mussolini.

MUSSOLINI NON AUMENTÒ LE TASSE
Solo per i primi anni del regime è vero che le tasse non furono aumentate, un po’ alla volta nuove tasse colpirono gli italiani e la lira che aveva rafforzato nei primi anni venne svalutata più volte per poter tirare avanti. In parole povere davanti alle difficoltà il governo prese di volta in volta decisioni diverse e logicamente variavano anche di molto in base al momento storico.

AI TEMPI DEL DUCE ERAVAMO PIÙ RICCHI
Mussolini permise agli industriali e agli agrari di aumentare in modo consistente i loro profitti, a scapito degli operai. Infatti fece approvare il loro contenimento dei salari.
Nel 1938, dopo 15 anni di suo operato, la situazione economica dell’italiano medio era pessima, il suo reddito era circa un terzo di quello di un omologo francese.

IL DUCE CI HA REGALATO LA TREDICESIMA
Un'altra leggenda che circola molto (soprattutto sotto Natale) è la seguente: se abbiamo un mese di stipendio in più è merito esclusivo della magnanimità di Mussolini. Anche in questo caso, tuttavia, la storia è diversa.
Nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del 1937 venne effettivamente introdotta una "gratifica natalizia." La mensilità in più era tuttavia destinata ai soli impiegati del settore dell'industria; e non ad esempio agli operai dello stesso settore, che anzi si videro aumentare le ore di lavoro giornaliero fino a 10, e 12 con gli straordinari non rifiutabili.
Si trattava di una misura "in piena linea con quelle che erano le normali politiche dell'epoca fascista, in una società [...] bloccata sul corporativismo basato non sul diritto per tutti, ma sul privilegio di pochi gruppi e settori."
La vera tredicesima è stata istituita prima con l'accordo interconfederale per l'industria del 27 ottobre 1946, e poi estesa a tutti i lavoratori con il decreto 1070/1960 del presidente della Repubblica.

I FASCISTI NON HANNO MAI RUBATO E NON C’ERA CORRUZZIONE
Si è sempre detto che il Fascismo è stata una dittatura che ha strappato la libertà agli italiani ma che almeno i fascisti non hanno mai rubato, non sono stati corrotti. Invece non è così. Mussolini non fa in tempo a prendere il potere che la corruzione già dilaga. Un sistema corrotto scoperto già da Giacomo Matteotti: denuncia traffici di tangenti per l’apertura di nuovi casinò, speculazioni edilizie, di ferrovie, di armi. Affari in cui è coinvolto il futuro Duce attraverso suo fratello Arnaldo.
E poi c’è l’affare Sinclair Oil: l’azienda americana pur di ottenere il contratto di ricerche petrolifere in esclusiva sul suolo italiano paga tangenti a membri del governo, e ancora ad Arnaldo, per oltre 30 milioni di lire. Matteotti lo scopre ma il 10 giugno 1924 viene rapito da una squadra fascista e ucciso. Messo a tacere il deputato socialista, di questa corruzione dilagante gli italiani non devono e non possono assolutamente sapere. Speculazioni, truffe, arricchimenti improvvisi, carriere strepitose e inspiegabili: gerarchi, generali, la figlia Edda e il genero Galeazzo Ciano e Mussolini stesso! Nessuno rimane immune. I documenti scoperti e mostrati da storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello Stato sono prove che inchiodano il fascismo alla verità.
È stato anche realizzato un documentario RAI che lo testimonia bene.

LA CASSA INTEGRAZIONE È STATA PENSATA E CREATA DAL DUCE
La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale per sostenere i lavoratori delle aziende in difficoltà economica. Nasce nell'immediato dopoguerra per sostenere i lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra furono colpite dalla crisi e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività. Quindi la cassa integrazione nasce per rimediare ai danni causati dal fascismo e della guerra che hanno causato milioni di disoccupati.
Nel 1939, tramite circolari interne, veniva prevista la possibilità, prevista senza un reale quadro normativo per poterla applicare, visto che allora era totalmente inutile.
L’Italia, già coinvolta nelle guerre nelle colonie (Libia, Abissinia) si stava preparando all’entrata in guerra al fianco della Germania e l’industria (soprattutto quella bellica) era in gran fermento, motivo per cui non solo si lavorava a turni pesantissimi ma si assistette addirittura al primo esodo indotto di lavoratori dall’agricoltura all’industria.
La Cassa Integrazione Guadagni, nella sua struttura è stata costituita solo il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività.

GRAZIE AL DUCE NON ESISTEVA DISOCCUPAZIONE
Non vi era un reale stato di benessere dell’economia ma  in realtà l’Italia stava preparando l’entrata in guerra e tutte le industrie (e l’artigianato) che direttamente o indirettamente fornivano l’esercito lavoravano a pieno regime. Senza contare le masse arruolate nell'esercito per poi essere usate come carne da macello per i sogni di gloria del duce.
Per contro, l’accesso al lavoro era precluso a tutti coloro che non sottoscrivevano la tessera del Partito Nazionale Fascista, sanzione che era estesa anche ai datori di lavoro che eventualmente li impiegassero. Motivo per cui durante il fascismo assistemmo ai flussi migratori di tutti coloro che per motivi politici non intesero allinearsi al regime ma avevano una famiglia da mantenere.
Il 27 maggio 1933 l'iscrizione al partito fascista è dichiarata requisito fondamentale per il concorso a pubblici uffici; il 9 marzo 1937 diventa obbligatoria se si vuole accedere a un qualunque incarico pubblico e dal 3 giugno 1938 non si può lavorare se non si ha la tanto conclamata tessera.

IL DUCE HA COSTRUITO GRANDI STRADE
Il programma infrastrutturale che prevedeva la costruzione delle strade completate durante il ventennio cominciò già durante il quinto governo di Giovanni Giolitti, avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture. Infatti, la necessità di realizzare infrastrutture in Italia fu un’idea di Giovanni Giolitti durante il suo quinto governo (15 giugno 1920/7 aprile 1921), avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture, sviluppo industriale dimostratosi necessario dal confronto con le altre grandi potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale.
Tale “rivoluzione” non poté essere attuata da Giovanni Giolitti, prima, e dal governo Bonomi che ne seguì solo per i sette mesi che resse a causa del boicottaggio e dell’ostruzionismo politico da parte del nascente fascismo, prima generico movimento popolare (1919) e poi soggetto in forma di partito dal 1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista.

MUSSOLINI IMPOSE AI MEMBRI DEL GOVERNO L’USO DELLE BICICLETTE FACENDO RISPARMIARE MILIARDI AL POPOLO ITALIANO
Non esiste nessuna conferma sulla fiaba delle biciclette. Anzi ad un certo punto per spingere l’industria dell’automobile si mise una tassa sulla bici e, almeno in alcune grandi città, si cominciò a limitarne l’uso. Sull'effettivo risparmio di questa manovra come prima pesa il non detto: a chi rimosse l’auto? Quante erano le auto? Furono risparmiati miliardi di lire? Se parliamo di miliardi di lire (ne considero almeno due per essere plurale) del 1925 parliamo di circa 1.5 Miliardi di euro oggi con la rivalutazione monetaria. Al 2012 la spesa per autoblu e autogrigie in Italia è stato di circa 1 Miliardo di euro, quindi dobbiamo dedurre che negli anni ’20 in Italia c’erano più auto pubbliche che adesso? Vi sembra possibile? E cercando tra i documenti del parlamento di quegli anni sono stati trovati stanziamenti per le automobili al servizio del governo.

MUSSOLINI RINUNCIÒ AL SUO STIPENDIO PER RISANARE L’ECONOMIA E FINANZIARE LA GUERRA 
Già fa ridere detta così ma pensandoci un attimo che Mussolini abbia o meno rinunciato al suo stipendio è irrilevante essendo stato un dittatore: dubito che le sue spese personali fossero state proporzionate al suo stipendio e il “dover finanziare una guerra” fu proprio quello che portò a sciupare quello che aveva fatto (per Mussolini era inconcepibile che non si facessero guerre, erano nella natura dell’uomo).

SOLO CON IL FASCISMO L'ITALIA HA RAGGIUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO
Partiamo malissimo perché il pareggio è successo nel 1925 ed in altra data. Il mito calca la mano sul concetto fondamentale che il governo fascista fu in grado di pareggiare il bilancio dello stato mentre i governi attuali siano degli inetti. Che ci sia riuscito non c’è dubbio, ma era già successo prima che Mussolini salisse al governo (fu Minghetti a realizzarlo) nel 1876. Quindi dovremmo replicare anche le politiche economiche di 2 secoli fa?
All’inizio del ventennio l’Italia arrivava da un periodo di indebitamento causato dalla Guerra Mondiale e furono adottati dei provvedimenti corretti come le liberalizzazioni, riduzione delle spese e l’espansione industriale aiutò moltissimo, ma è possibile secondo voi paragonare l’economia di inizio ‘900 con quella attuale?
Come ogni disinformazione che si rispetti è più importante quello che si sta dimenticando di dire, e cioè che negli anni successivi però andò tutto in vacca: la crisi mondiale in parte e il disinteresse dell’economia del Duce, molto più interessato a fare guerre colonialiste, portarono il bilancio in negativo vanificando tutti gli sforzi fatti. La politica di autarchia messa in atto limitò moltissimo le importazioni e le esportazioni, politica totalmente inapplicabile oggi. Oltre ad aver causato la distruzione della nazione nella Seconda Guerra Mondiale. Citando Totò: “L’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”
Ha poi senso paragonare le scelte fatte quasi 100 anni fa a quelle attuali? Non è corretto né economicamente né storicamente. Un modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello.

IL DUCE HA RICOSTRUITO I PAESI TERREMOTATI IN UN BATTER D'OCCHIO
Anche la storia della prodigiosa ricostruzione del Duce dopo il terremoto del Vulture (in Lucania) del 23 luglio 1930 è piuttosto ricorrente.
La fonte primaria, ripresa dai siti di estrema destra e replicata in vari meme, è un articolo del Secolo d'Italia pubblicato dopo il terremoto che l'anno scorso ha colpito il centro Italia. In esso si sostiene che in appena tre mesi si costruirono 3.746 case e se ne ripararono 5.190, e si infila pure il commento agiografico "altri tempi, ma soprattutto altre tempre...
Il dato è però parziale e decontestualizzato. Come si può verificare dal sito dell'INGV, nell'ottobre del 1930 furono ultimate "casette asismiche in muratura corrispondenti a 1705 alloggi" e "riparate dal genio Civile 2340 case." Solo nel settembre del 1931—a operazioni ultimate—si raggiunge la cifra indicata nell'articolo, che corrisponde a 3.746 alloggi in 961 casette. Insomma: i numeri sono comunque rilevanti per l'epoca, ma non è semplicemente vero che in appena tre mesi fu ricostruito tutto da zero.

IL FASCISMO HA RESO L'ITALIA UN FARO PER LE SCOPERTE SCIENTIFICHE
Nei primi anni del regime però  "aveva sostanzialmente ignorato tutte le questioni connesso con l'organizzazione della struttura di ricerca scientifica," che rimaneva quella dell'Italia liberale ed era carica di problemi. Nel 1923 venne avviato il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), la prima struttura deputata a svolgere ricerca "su temi di interesse generale." La sua attività fu subito caratterizzata dalla penuria dei finanziamenti, segno della "scarsa fiducia nel nuovo ente che ancora nutriva Mussolini."
Col passare degli anni, nonostante i proclami e la propaganda, il CNR non divenne mai incisivo e non produsse nulla di significativo, soprattutto perché la sua unica indicazione di ricerca era quella per l'autarchia—un'indicazione troppo generica. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, poi, "allontanò in modo generalizzato i più giovani tra ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi."
Nel 1938, a riprova di quanto al fascismo non fregasse nulla della scienza, l'ambiente scientifico italiano era stato travolto dal più infame e antiscientifico degli atti politici del regime: la promulgazione delle leggi razziali. Il che mi porta all'ultima leggenda che ho scelto per compilare questa lista.

IL DUCE NON ERA RAZZISTA, E NEMMENO IL FASCISMO ERA UN REGIME RAZZISTA
Con ogni probabilità questa è la mistificazione più odiosa, che fa leva sul radicato stereotipo del "bravo italiano" e del "cattivo tedesco."
Se è vero che in un primo momento i rapporti tra gli ebrei e il fascismo furono "normali," e lo stesso Mussolini—nel libro Colloqui con Mussolini—disse che "l'antisemitismo non esiste in Italia," le cose cambiarono progressivamente con la torsione totalitaria del regime e sfociarono infine nelle persecuzioni.
La maggior parte della storiografia è ormai concorde sul fatto che l'antisemitismo e le leggi razziali non furono introdotte per imposizione della Germania—il Manifesto della razza, ad esempio, pare che sia stato scritto dallo stesso Mussolini.
Piuttosto, come sostiene lo storico Enzo Collotti, la "spinta a una politica della razza nel fascismo italiano" da un lato era "iniziativa e prodotto autonomo" del regime—specialmente dopo il 1933 e l'affermazione del nazismo—e dall'altro era una scelta "connaturata allo stesso retaggio nazionalista, che esaltava la superiorità della stirpe come fatto biologico e non solo culturale."
Lo stesso discorso si può fare con la "civilizzazione" delle colonie, che si pone in perfetta continuità con quanto detto sopra. La guerra d'aggressione contro l'Etiopia nel 1935 è stata "l'occasione per mettere a fuoco una politica razzista dell'Italia fascista"; e dopo la conquista del paese—mai completata fino in fondo—"fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un vero e proprio prototipo di apartheid."
Dire che il fascismo non era un regime razzista è negare una delle sue caratteristiche fondamentali. Se si porta all'estremo questo ragionamento, si finisce col dire che il fascismo non era fascista.

CENSURA DEL REGIME:
La censura fascista in Italia tra il 1922 e il 1943 consisté in un'attività di censura e di controllo sistematico della comunicazione e, in particolare, della libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa e nella repressione della libertà di associazione, di assemblea, di religione avutasi durante tutto il ventennio.
L'intervento repressivo e autoritario, sporadico nel 1923, aumenta nel 1924 e conosce una svolta a partire dal 1925, quando inizia a prendere forma lo stato dittatoriale che reprimerà ogni forma di libertà d'espressione. Durante il ventennio fascista la polizia politica esercita uno stretto controllo sulle vite dei cittadini.
La censura si proponeva il controllo:
dell'immagine pubblica del regime, ottenuto anche con la cancellazione immediata di qualsiasi contenuto diffuso tramite stampa, radio, cinema, teatro, che potesse suscitare opposizione, sospetto, o dubbi sul fascismo; dell'opinione pubblica come strumento di misurazione del consenso; dei singoli cittadini ritenuti sospetti dal governo con la creazione di archivi nazionali e locali (schedatura) nei quali ognuno veniva catalogato e classificato a seconda delle idee, delle abitudini, delle relazioni d'amicizia, dei comportamenti sessuali e delle eventuali situazioni e atti percepiti come riprovevoli.
La censura fascista aggiunse ai temi che già in epoca liberale venivano tenuti sotto sorveglianza, come la morale, la magistratura, la casa reale e le forze armate, una quantità di argomenti che variavano a seconda dell'evolversi dell'ideologia fascista e dei suoi atti politici. In particolare veniva censurato ogni contenuto ideologico diverso dal fascismo o considerato disfattista dell'immagine nazionale, ed ogni altro tema culturale considerato disturbante per il modello stabilito dal regime.
Dapprima fu eliminata ogni considerazione ritenuta lesiva del regime (a proposito del Duce, della guerra, della patria e del sentimento nazionale) e, in seguito, ogni accenno ritenuto negativo nei confronti della maternità, della battaglia demografica, dell'autarchia ecc. In modo particolare la censura del regime era attenta ed occhiuta quando nelle produzioni e visione degli spettacoli si rintracciava una qualche considerazione celebrante l'individualismo che mettesse in discussione la supremazia dello Stato, principio supremo dell'ideologia fascista.
Anche le comunicazioni private e la corrispondenza dei normali cittadini veniva censurata. Non tutta la corrispondenza veniva ispezionata, ma non tutta quella che veniva letta dai censori riportava il regolare bollo che registrava l'avvenuto controllo. Gran parte della censura, molto probabilmente, non veniva dichiarata, in modo da poter segretamente consentire ulteriori investigazioni di polizia. Abbastanza ovviamente, qualsiasi telefonata era a rischio di essere intercettata e, talvolta, interrotta dai censori del famigerato «ufficio cuffia».
Anche il solo discorrere in pubblico era in effetti molto rischioso, in quanto una speciale sezione di investigatori si occupava di quello che la gente diceva per strada, al bar, o in qualsiasi luogo di ritrovo, un'eventuale accusa da parte di un poliziotto in incognito era molto difficile da confutare e molte persone riportarono di essere state falsamente accusate di sentimenti anti-nazionali, solo per l'interesse personale della spia. Di conseguenza, dopo i primi casi, la gente solitamente evitava di fare discorsi riguardanti: lo stato, il Duce, la politica in generale, sia all'aperto che in posti e locali frequentati.

IL DUCE E L’ISLAM
Pur tra luci ed ombre, Mussolini ha stretto intensi rapporti con il mondo di Maometto. Un grande «feeling» che venne propiziato dall'affettuosa amicizia che il futuro duce intrattenne, quando era ancora direttore dell'Avanti!, con la giornalista Leda Rafanelli di fede musulmana. E che, poi, culminò con il matrimonio di Tripoli del 20 marzo 1937, testimone di nozze Italo Balbo, quando un impettito Mussolini, in sella a un magnifico puledro, sguainò la famosa spada dell'Islam ricevuta in dono dai berberi.
Quell'immagine è diventata il simbolo di un lungo corteggiamento nato nel 1919, prima ancora della Marcia su Roma, con la pace di Versailles alla fine della Prima guerra mondiale. Quella conferenza più che un trattato si rivelò, infatti, un vero e proprio «diktat» non solo per la Germania sconfitta, ma anche per l'Italia che, pure, quella guerra l'aveva vinta. A ispirare lo spirito di rivalsa nei confronti dell'asse franco-inglese era stato Gabriele D'Annunzio, il Vate della «vittoria mutilata» e il protagonista dell'impresa di Fiume, che mise il Belpaese sullo stesso piano del mondo arabo da sempre in conflitto con le potenze coloniali.

Pur con le dovute differenze, il nazionalismo che cominciava a serpeggiare in una parte dell'Europa era della stessa matrice di quello che già si respirava sulla «quarta sponda». Revanscisti gli uni, revanscisti gli altri, divenne quasi naturale cercare punti d'incontro. Se la conquista dell'Etiopia venne presentata - i due amici-nemici Mussolini e D'Annunzio in primis - come la guerra santa contro il Negus Hailé Selassié, nemico dichiarato dei musulmani, il «bel suol d'amore», Tripoli, diventò il terreno fertile per rinsaldare quell'intesa cordiale che oggi sembra davvero una grandissima utopia. Nel 1939, infatti, il governatore Balbo, nonostante i dissapori con il duce, fece ottenere la cittadinanza speciale italiana a tutti i libici islamici della costa, a differenza dei beduini e degli ebrei che restavano cittadini di serie B.

Ci furono, in quegli anni, tanti punti d'incontro: se già nel 1934 Radio Bari cominciò a trasmettere programmi in lingua araba perché la comunicazione era un pallino del duce, i rapporti commerciali con i Paesi dell'Islam divennero intensi tanto che lo Yemen dell'imam Yahyà si trasformò, di fatto, in un protettorato italiano. Parallelamente, dalle parti della Mezzaluna, si diffusero movimenti giovanili che guardavano al fascismo con particolare interesse, dalle Falangi Libanesi al Partito Giovane Egitto, dalle Camicie Verdi a quelle Azzurre. Anche allora, comunque, non tutti si trovarono d'accordo sull'innamoramento per gli «infedeli»: a parte il malumore di qualche alto prelato, è il caso di Leo Longanesi, romagnolo come Mussolini e amico della prima ora, che, all'indomani dell'«incoronazione» del duce con la spada dell'Islam, sentenziò: «Sbagliando s'impera». Eppure, piccola curiosità, il fatto che Benito fosse amico del mondo musulmano starebbe nel cognome stesso: secondo un'ipotesi , non del tutto infondata, Mussolini deriverebbe da muslimin, plurale di muslin che, in arabo, significa musulmano. Strani gli scherzi del destino...

SQUADRISMO E VIOLENZA POLITICA
Fra le attività "qualificanti" del fascismo del primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari politici, le loro sedi e le loro organizzazioni, da parte di bravacci legati ai ras locali. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate. Non di rado, tuttavia, gli oppositori perdevano la vita a seguito delle violenze.
Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500 i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922. Il parroco di Argenta, don Giovanni Minzoni, fu assassinato in un agguato da due uomini di Italo Balbo, nell'agosto del 1923. Ma anche quando il fenomeno della violenza squadrista sembrò perdere le proprie caratteristiche originarie, e gli uomini legati ai ras locali vennero convogliati in organizzazioni ufficiali come la Milizia volontaria, forme di violenza politica sostanzialmente analoghe allo squadrismo non cessarono di costellare la vicenda del fascismo al potere.
Per tutti, tre casi notissimi: nel giugno 1924 Giacomo Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista, e il gesto sarebbe stato esplicitamente rivendicato da Mussolini nel gennaio dell'anno successivo; Piero Gobetti, minato dall'aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni dopo, in esilio; Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un'aggressione fascista subita nel luglio 1925.

LA REPRESSIONE – DAGLI OMICIDI AL TRIBUNALE SPECIALE PER LA DIFESA DELLO STATO
Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell'apparato di repressione dello Stato. Che venne rafforzato e riorganizzato. Con la nascita dell'OVRA (l'Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell'Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con tutti i mezzi, legali e illegali. Anche l'omicidio politico in paese straniero. Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi.
Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l'Orne dove Carlo Rosselli e il fratello Nello si erano recati per trascorrere il fine settimana, un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione: bloccata l'auto sulla quale viaggiavano i due fratelli, Carlo e Nello furono prima pestati, poi, accoltellati a morte. Lo strumento ufficiale della repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. L'attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l'occasione di una serie di misure repressive.
Tra queste la "legge per la difesa dello Stato", n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì, tra l'altro, la pena di morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo del governo. A giudicare i reati in essa previsti, la nuova normativa istituì il Tribunale speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito nel gennaio 1944, nella RSI. Nel corso della sua attività, emise 5619 sentenze e 4596 condanne. Tra i condannati anche 122 donne e 697 minori. Le condanne a morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni di carcere. Tra i suoi 'beneficati', ci furono Antonio Gramsci, che morì in carcere nel 1938, il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini e Michele Schirru, fucilato nel 1931 solo per avere espresso "l'intenzione di uccidere il capo del governo".

IL CONFINO
Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola, fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre 1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso per l'ordine statale o per l'ordine pubblico. A un mese dall'entrata in vigore della legge le persone confinati erano già 600, a fine 1926, oltre 900, tutti in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell'Italia meridionale. A finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino furono, complessivamente, oltre 15.000. Ben 177 antifascisti morirono durante il soggiorno coatto.

DEPORTAZIONE
La politica anti ebraica del regime fascista culminò nelle leggi razziali del 1938. Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma; degli oltre 1250 ebrei arrestati in quell'occasione, più di 1000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo 17 erano ancora vivi al termine del conflitto.
Il Manifesto programmatico di Verona (14 novembre 1943) sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a "nazionalità nemica". Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e l'internamento, in attesa della deportazione in Germania.
Nelle spire della "soluzione finale" hitleriana il regime fascista gettò, nel complesso, circa 10.000 ebrei. Oltre alla deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c'è anche la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati che, dopo l'8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di concentramento in Germania piuttosto che aderire alla RSI.

LE GUERRE
Fuori dai confini i morti contano meno? Allora non si possono proprio considerare tali gli etiopi uccisi con il gas durante la guerra per l'Impero, o i libici torturati e impiccati durante le repressioni degli anni Venti e Trenta, o gli jugoslavi uccisi nei campi di concentramento italiani in Croazia. Ma la spada di Mussolini provocò tanti morti anche tra i suoi connazionali. Mussolini trascinò in guerra l'Italia il 10 giugno del 1940, per partecipare al banchetto nazista. I risultati, per l'Italia, furono questi. Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra, oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.
Dopo l'armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana all'estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania, 41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti, 13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della RSI. A questi vanno aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l'intero periodo bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.



La prossima volta che vi imbattete in una immagine che inneggia alla saggezza del Duce e di come potrebbe essere la salvezza dell’Italia fatevi una ricerca sulla storia del fascismo.

venerdì 8 dicembre 2017

La difesa dei valori tradizionali

Vogliamo difendere le nostre tradizioni? Insegniamo la scienza!
 (e lasciamo stare i crocifissi e i presepi)

Come tutti i Natali, anche quest'anno si inizia a fare polemica utilizzando presepi e crocifissi, confusi come i simboli fondanti della nostra società. Ma quei simboli e quei valori in realtà sono quelli della modernità e della scienza, e sono quelli che dobbiamo coltivare, difendere e diffondere.
Durante l’ultimo consiglio comunale di Orbassano, un paese in provincia di Torino, la maggioranza di centrodestra ha decretato una mozione per invitare i dirigenti scolastici delle scuole del territorio ad allestire il presepe nei loro istituti. Secondo gli estensori del provvedimento, questa mossa servirebbe a ribadire che “ogni politica dell’accoglienza non può essere fondata sulla rinuncia dei propri simboli”.
Niente di più giusto. È vero e sacrosanto rimanere se stessi se vogliamo stare bene con gli altri. È un po' come nelle coppie, micro comunità in cui, se uno dei due nega se stesso e si zerbina davanti ai valori dell'altro, l'equilibrio salta e si manda tutto in vacca. Il problema, però, è che gli estensori di questo provvedimento, come tutti quelli che lo hanno preceduto — sotto Natale è diventata una specie di tradizione trincerarsi dietro il bue e l'asinello — probabilmente hanno un po' di confusione su quali siano i valori e i simboli dell'Italia contemporanea, dell'Europa e di tutto l'Occidente.
Se c'è qualcosa, infatti, che abbiamo tutti il dovere di difendere davanti a chiunque e in ogni momento, non è certo il presepe, né il crocifisso, che, per quanto possano essere folkloristici, popolari e legittimi anche agli occhi di chi non si professa cattolico (non è sempre vero n.d.r), sono i simboli di una parte degli italiani, non dell'Italia.
I simboli e i valori che abbiamo il dovere di difendere e di diffondere sono le conquiste della modernità e della scienza, quelli che ci hanno lasciato in eredità tutte le grandi rivoluzioni del pensiero occidentale degli ultimi tre secoli: l'importanza del dubbio contro la certezza, la libertà di autodeterminazione degli individuil'uguaglianza degli stessi di fronte alla legge, la laicità dello Stato e la dimensione individuale e interiore della religiosità, da cui deriva la libertà di chiunque di credere nel dio che gli pare e gli piace (o di non credere affatto n.d.r).
Vogliamo insegnare le basi della nostra cultura ai nuovi arrivati? Bene, insegniamo loro la filosofia della scienza, la logica, la matematica, la fisica, la biologia. Facciamogli vedere come siamo arrivati a capire che il mondo non esiste da appena 6000 anni, o che gli uomini non sono nati da una manciata di fango e uno sputo di un essere divino, ma da migliaia di anni di evoluzione, o ancora raccontiamogli di come dando la precedenza allo stato rispetto che a dio siamo riusciti a scoprire i meccanismi che regolano la nostra piccola parte di universo.
Se c'è una cosa che la nostra parte di mondo ha fatto di grande è questa galassia di conquiste. E questa deve essere la prima cosa che mettiamo davanti a tutti quelli che arrivano. Senza pretendere che smettano di credere a quel che gli pare, ma pretendendo che a scuola i loro credi personali non ci siano, perché la scuola è il luogo dove si imparano le cose che abbiamo in comune, non quello dove si rafforzano quelle che ci dividono, quelle siamo liberi di metterle su un piedistallo in casa nostra.
E queste cose le sa benissimo anche il sindaco di Orbassano, che ha aggiunto «Se un nostro amico che prega una religione diversa viene a trovarci a casa nostra, non credo che ci preoccupiamo di nascondere il presepe». Sì, esatto, signor sindaco, è per quello che la casa è nostra e la scuola è di tutti. E se sono due luoghi sacri uguali è proprio grazie a una delle conquiste della modernità, la distinzione tra pubblico e privato.

mercoledì 6 dicembre 2017

Trasformare un motore trifase in monofase

TRASFORMARE UN MOTORE TRIFASE (400V) IN MONOFASE (230V)


In più di una occasione mi sono trovato a dover rispondere a questa domanda all'apparenza semplice. In effetti la soluzione è semplice ma necessità di qualche accorgimento:

Per prima cosa occorre controllare la targhetta del motore per capire se è adatto alla trasformazione stessa.
Essa deve riportare dei dati simili a quella in questa foto per poter procedere alla modifica.


Se invece la targhetta dovesse essere simile a quella di seguito non è possibile l'adattamento.


Una volta che siamo certi che il nostro motore è adatto alla trasformazione dobbiamo calcolare il valore del condensatore di sfasamento. Senza usare complicate formule matematiche diciamo che:

Condensatore = 50 microfarad per HP (CV)

Questo condensatore lo trovate di solito in ogni ferramenta, e se non trovate il valore esatto potete fare il parallelo di diversi condensatori per arrivare alla capacità che vi serve. Importante è che sia un 450Vac.

A questo punto prendete il vostro motore e scollegate tutti i fili che arrivano dall'esterno, dovrebbe rimanervi qualcosa di questo genere:



Ora potete procedere a collegare le lamelle di corto circuito, i fili di alimentazione e il condensatore in una di queste configurazioni:


Tenete presente che a secondo di dove collegate il condensatore determinate il verso di rotazione del motore e che a triangolo il motore ha meno coppia ma fa più giri e a stella ha più coppia ma fa meno giri.

Buon lavoro!

domenica 24 settembre 2017

Perché non credo in dio.

A me non piacciono quelli che si comportano bene per paura di finire all'inferno, preferisco quelli che si comportano bene perché amano comportarsi bene.
A me non piacciono quelli che sono buoni per piacere o compiacere dio, preferisco quelli che sono buoni perché sono buoni.
Non mi piace rispettare i miei simili perché sono figli di dio, mi piace rispettarli perché sono persone che come me sentono, soffrono, gioiscono.
Non mi piace chi si dedica al prossimo e coltiva la giustizia pensando in questo modo di piacere a dio, mi piace chi si dedica al prossimo perché sente amore e compassione per la gente.
A me non piace sentirmi in comunione con una serie di persone stando zitto dentro ad una chiesa ascoltando una funzione, mi piace sentirmi in comunione con un gruppo di persone guardando gli amici negli occhi, parlando con loro, guardando il loro sorriso.
Non mi piace emozionarmi davanti alla natura perché dio l'ha creata così bella, mi piace emozionarmi perché è così bella.
A me non piace consolarmi della morte pensando che dio mi accoglierà, mi piace guardare in faccia la limitatezza della nostra vita e imparare a sorridere con affetto a sorella morte.
Non mi piace chiudermi nel silenzio a pregare dio, mi piace chiudermi nel silenzio ed ascoltare le profondità infinite del silenzio.
Non mi piace ringraziare dio, mi piace svegliarmi il mattino, guardare il mare, ringraziare il vento, le onde, il cielo, il profumo delle piante, la vita che mi fa vivere, il sole che si alza.
A me non piacciono quelli che mi spiegano che il mondo lo ha creato dio, perché penso che non lo sa nessuno di noi da dove viene il mondo. Penso che chi dice di saperlo si illude, preferisco guardare in faccia il mistero, sentirne l'emozione... tremenda, piuttosto che cercare di spegnerla con delle favole.
A me non piacciono coloro che credono in dio e sanno dove sta la verità, perché penso che in realtà siano ignoranti quanto me.
Penso che il mondo è per noi ancora uno sterminato mistero, a me non piacciono quelli che conoscono le risposte, mi piacciono di più quelli a cui le risposte mancano ma le cercano e sanno dire: “Non lo so!”.
Mi piace parlare agli amici, provare a consolarli se soffrono, mi piace parlare alle piante e dare loro da bere se hanno sete, mi piace amare, mi piace guardare il cielo, il silenzio, mi piacciono le stelle, mi piacciono infinitamente le stelle.
Non mi piace chi si rifugia nelle braccia di una religione quando è sperso, quando soffre. Preferisco chi accetta il vento della vita e sa che gli uccelli dell'aria hanno il loro nido ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il suo carro.

E siccome vorrei essere simile alle persone che mi piacciono e non a quelle che non mi piacciono NON CREDO IN DIO.

venerdì 7 luglio 2017

La guerra in Russia: il Regio Esercito, le “scarpe di cartone” e altri miti

Quante volte abbiamo sentito, a scuola, all’università, in documentari televisivi o dalla voce di persone di nostra conoscenza, frasi come queste: “I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”, “Il nostro esercito era male armato!”, oppure “Noi avevamo il fucile 91, del 1800!”, o letto nelle classiche memorie del fronte russo di Nuto Revelli o Rigoni Stern: “Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati” e persino recentemente l’autolesionismo patrio, in una Fiction riguardante uno degli eroi veri dell’Italia, Salvo d’Acquisto, è arrivato a un… “Guarda, i tedeschi hanno pure i caschi coloniali, e noi no!”, quando in realtà i soldati tedeschi dell’Afrika Korps preferivano le divise tropicali italiane o quelle inglesi catturate alle loro.
I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”. In realtà gli scarponcini militari italiani erano in cuoio e pelle di buona qualità, certamente quando si devono fare indumenti in milioni di esemplari si prendono delle scorciatoie produttive: quindi si usano fibre artificiali, etc. Gli stessi tedeschi già dal 1939 accorciarono i loro famosi stivali per risparmiare cuoio, dal 1941 distribuirono alle reclute solo degli scarponcini bassi da portare con le ghette, e iniziarono presto a usare filati artificiali come il rayon nei capi d’abbigliamento e a usare bachelite, carta pressata e resine per fare bottoni o parti di equipaggiamento. Lo stesso equipaggiamento invernale italiano, consistente in cappotto in panno, guanti in lana, etc., seppur purtroppo inadeguato per l’inverno russo, era esattamente pari a quello tedesco del 1941; solo nell’inverno successivo la Wehrmacht introdusse delle tenute imbottite per i suoi soldati. Di nota anche il fatto che al Btg. Monte Cervino, inviato in Russia, furono consegnati scarponi dotati delle modernissime suole in gomma VIBRAM, altro che “cartone”!
Corollario: “Avevamo le pezze da piedi e le fasce mollettiere”. Le pezze da piedi erano considerate dai veterani come migliori e più durevoli delle calze, le fasce mollettiere erano, all’inizio guerra, adottate da molti dei contrapposti eserciti! “Noi avevamo il fucile 91, del 1800!” Una delle frasi dimostranti maggiore malafede: il fucile 91 fu in effetti adottato nel 1891… ma d’altronde i fucili usati nella seconda guerra mondiale delle altre nazioni erano molto più recenti? Vediamo: Germania, Mauser K98k, adozione 1898, Inghilterra, Lee Enfield, 1900, Russia, Moisin-Nagant, 1891, Giappone Meiji-Arisaka, 1897, USA, Springfield 1903… 1903! Il “vecchio” 91 era decisamente in buona compagnia!
“Il nostro esercito era male armato!”. Certamente dopo il 1942-1943 il divario tecnologico e industriale con le potenze Alleate o la Germania si ampliò effettivamente in modo irreparabile per il sistema industriale-militare, sociale e politico italiano ma sino al 1941-1942, se per esempio compariamo armi e mezzi italiani con quelli inglesi in Nord Africa, uno dei teatri che videro il maggior impegno delle FFAA italiane nella seconda guerra mondiale, troveremo delle sorprese: nelle armi individuali sostanziale parità, e se gli inglesi avevano una eccellente mitragliatrice leggera, il Bren, noi schieravamo una ottima mitragliatrice pesante, la Breda 37. Una nota dolente riguarda poi il famoso moschetto automatico Beretta MAB 38 A, eccellente arma da fuoco automatica camerata per una potente munizione da 9 mm: prodotta in decine di migliaia di esemplari già nei primi anni di guerra, fu però distribuita solo a pochi reparti e in pochissimi esemplati a causa della mentalità retrograda degli Uffici Armi del Regio Esercito che vedevano nella celerità di tiro dell’arma solo uno “spreco di munizioni”. Il risultato fu che prima della Repubblica Sociale Italiana il MAB finì in numeri maggiori nelle mani dell’Esercito Rumeno (che ne acquistò molti esemplari) e della Wehrmacht che ne requisì a magazzini interi dopo l’8 settembre 1943 controllandone poi la produzione che in quelle dei militari regi italiani. Nei corazzati, se noi allineavamo le giustamente vituperate “scatolette di latta”, i piccoli carri L3, anche gli inglesi non scherzavano con le loro “bare di fuoco”, i vari modelli di Light Tank (carri leggeri) armati di mitragliatrici; nei carri medi i nostri M13/40 e modelli M successivi tenevano bene, con il loro pezzo da 47 mm, contro il 40 mm dei carri Cruiser e Valentine inglesi, il cui cannone peraltro poteva sparare solo granate perforanti e non anche quelle esplosive, essenziali per ingaggiare a distanza i cannoni anticarro e la fanteria trincerata. I Matilda, carri pesanti inglesi, benché dotati di una massiccia corazzatura, erano pochi e lenti. E ad ogni modo, nelle azioni tattiche di corazzati sia gli italiani che gli inglesi sembrano dei novizi imbranatissimi al confronto dei tedeschi, capaci di sfruttare flessibilmente i loro Panzer appoggiati da aliquote di fanteria meccanizzata, artiglieria, genio e aviazione di supporto: anche in questo caso il confronto Italia-Inghilterra è quindi… pareggio! In effetti, quando inglesi e italiani si scontrarono in Nord Africa in condizioni di parità numerica, e senza i tedeschi di mezzo a rubare la scena, anche i Carristi italiani colsero degli allori, come la Divisione Ariete a Bir el Gobi il 19 novembre 1941, quando i suoi 130 carri M batterono i 150 carri Crusader della potente e esperta 22° Brigata Corazzata inglese, distruggendone 42 e perdendone 30. Sicuramente il nostro Esercito era però notevolmente inferiore nelle artiglierie controcarro, nelle comunicazioni, nella logistica e nelle forze meccanizzate, anche se in Nord Africa una buona parte delle unità di fanteria fu comunque dotata di automezzi, come pure le nostre Grandi Unità inviate in Russia con lo CSIR, che poteva allineare alcuni dei migliori reparti del Regio Esercito e dei Battaglioni M. Analizzando le performance di aerei e navi spesso arriviamo a un giudizio di non inferiorità dei nostri mezzi, per esempio anche l’utilizzo della Royal Navy del Radar e della decrittazione (non efficientissima, peraltro) dei messaggi italo-tedeschi nella guerra navale nel Mediterraneo, non deve mascherare gli incredibili errori tattici e la pavidità strategica degli Ammiragli italiani nel 1940-1943. Passando all’Aeronautica gli inglesi non avevano poi solo gli splendidi Spitfire: nel 1940-1941 i nostri antiquati biplani CR-42 erano coetanei dei biplani inglesi Gladiator, e gli Hurricane, una volta tropicalizzati per l’utilizzo in Nord Africa, avevano le stesse prestazioni dei nostri Macchi MC 200 Saetta… poi le famose “otto mitragliatrici” dei caccia inglesi, se paragonate alle sole due dei nostri caccia, potevano risultare superiori solo a chi non osservasse che le armi inglesi erano di piccolo calibro, 7.7 mm, mentre quelle dei nostri aerei erano le potenti Breda-SAFAT da 12.7 mm, sparanti proiettili incendiari di peso quadruplo rispetto ai proiettili inglesi. Il nostro Macchi MC 205 Veltro, inoltre, benché consegnato ai reparti in pochi esemplari nel giugno 1942, aveva caratteristiche pari ai più moderni aerei avversari.
“Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati”. Considerando che la Wehrmacht schierò contro la Russia nel 1941 più di centotrenta Divisioni e di queste solo una ventina erano Corazzate o Motorizzate, e tutte le altre appiedate e ippotrainate come nelle Campagne Napoleoniche… affermazioni come queste si possono spiegare solo con il ruolo “di parte” di scrittori come Revelli e Rigoni Stern nel dopoguerra. Le cattive prove di talune unità italiane nel periodo 1940-1942 non vanno quindi ricercate tanto nell’inferiorità dei materiali, ma nello scarso addestramento e coesione tra militari di truppa provenienti da regioni diverse, e non resi affiatati dai propri Ufficiali del Regio Esercito, i quali spesso si consideravano come superiori non solo di grado, ma anche di… casta, quindi incapaci di vincere il rispetto e guadagnarsi la fedeltà dei propri uomini. Inoltre gli Ufficiali Superiori stessi, spesso anziani, applicarono tattiche risalenti alla prima guerra mondiale in un contesto di guerra di movimento molto diverso, e invece di aggiornare le loro conoscenze d’arte militare preferirono dare la colpa dei loro fallimenti ai soldati o alle loro armi!
Andrea Lombardi